È merito del digitale e della tecnologia se in azienda si sono invertite le strategie di mentoring. Se fino a qualche anno fa era del tutto impensabile che una risorsa junior potesse dare insegnamento a un senior, oggi i
nativi digitali dettano la tendenza. Le imprese hanno infatti bisogno sia dell’esperienza dei più saggi da trasmettere anche ai neo assunti, sia delle competenze digitali dei
millennials (i nati tra i primi anni '80 e i primi anni 2000). È ormai impensabile una
strategia di mentoring a senso unico. Questo richiede naturalmente
l’assenza di pregiudizi sia nelle vecchie quanto nelle nuove generazioni, non si è infatti così vecchi da non poter apprendere i nuovi orientamenti nel settore digital, né troppo giovani per insegnare la tecnologia che occorre per lavorare. Pertanto, si può definire il
reverse mentoring come il
processo mediante il quale i giovani con poca esperienza ma con alta competenza digitale aiutano i senior ad apprendere le nuove tecnologie. Una sorta di
reciproco scambio di competenze che nessun corso di formazione potrebbe garantire e naturalmente con costi aziendali contenuti.
Si cominciò a parlare di reverse mentoring già nel 1999 quando Jack Welch, ex Ceo della General Electrics, nel momento in cui internet si andava diffondendo largamente, chiese ai manager di farsi aiutare dai giovani impiegati nell’uso di internet. Questo processo non mette in discussione la capacità di risoluzione di problemi che per antonomasia compete ai più anziani, grazie alla somma di competenze acquisite nell’arco di un’intera carriera professionale, ma li invita a studiare e familiarizzare con il mondo del digitale, mirando così a colmare il gap generazionale. Difatti, con il reverse mentoring, i senior faranno conoscere ai millennials i valori aziendali, le logiche di business, la strategia accompagnandoli così nella loro crescita professionale”.
Ma come si attua un programma di reverse mentoring?
Spesso si tratta di incontri formali tra junior e senior in cui si evidenzia l’impegno di entrambi a formarsi sui diversi aspetti del lavoro. Un esempio concreto può trovarsi nell’implementazione reciproca della capacità di project management. In quest’ambito i giovani insegnano ad esempio come utilizzare uno strumento digitale come l’e-calendar, come organizzare riunioni a distanza e programmare attività con il digitale; dal canto loro, i senior trasmettono ai giovani i valori che sono sempre validi, come ad esempio definire un obiettivo o una vision.
All’interno di un’organizzazione, dove è ben utilizzato, e dove la fonte del sapere diventa bidirezionale, il reverse mentoring riesce a migliorare i processi per la gestione dei talenti, sviluppa meglio la leadership, diffonde il know-how, arricchendo lo scambio intergenerazionale tra i baby boom (i nati tra il 1945 ed il 1964) la generazione X (i nati tra il 1965 il 1980) e i millennials. È interessante vedere inoltre come le aspirazioni di ognuna di queste generazioni siano differenti, la principale ispirazione dei Millennials è quella di realizzarsi nella carriera, quella della generazione senior è invece il benessere e la famiglia.
Se stanno pian piano “finendo” quelli nati senza televisione, oggi è il tempo di quelli nati “con uno smartphone in mano”, abili a cogliere al volo tutte l’opportunità offerte dalle nuove app, pronti a usare a proprio beneficio i diversi social network. Il reverse mentoring vuole dunque colmare il divario tecnologico tra generazioni vicine, un gap mai avvertito come ora da quando si ha memoria d’uomo.
Il reverse mentoring se ben implementato all’interno dell’organizzazione può diventare uno strumento per migliorare diversi processi, scopri quali nella scheda che segue!