Come i più grandi CEO del mondo tech organizzano le riunioni
“Questa riunione poteva essere una mail”, neanche i CEO sfuggono a questi oneri, ma hanno implementato una serie di regole e abitudini per renderle il più efficienti possibili
Sono universalmente riconosciute come l’aspetto più tedioso e inefficiente nel contesto aziendale, ma le riunioni costituiscono un’importante occasione di confronto che non va sprecata con chiacchiere e convenevoli. Per ovviare a questo pregiudizio, i CEO delle aziende tech più di successo al mondo hanno imposto le loro regole e i loro parametri per renderle più efficienti, brevi e d’impatto.
Gli incontri con il cofondatore di Amazon, Jeff Bezos, iniziano sempre con una silenziosa lettura di un promemoria riassuntivo dei punti chiave da toccare durante la riunione. Si tratta di documenti che un dipendente potrebbe impiegare due settimane a mettere insieme, a volte infatti è costituito di sei pagine e riguarda un argomento molto specifico. Dopo trenta minuti di lettura silenziosa, i partecipanti sono invitati a porre domande e ad avviare una discussione sul tema descritto nel documento. Bezos afferma che concedere ai partecipanti il tempo di leggere un promemoria gli permette di preparare le proprie riflessioni e porre domande più produttive durante la riunione. Non è particolare sostenitore delle presentazioni con diapositive, per cui gli elenchi puntati non sono altro che un tentativo di dare un senso a pensieri “sciatti”.
Altra particolarità riguarda il numero di partecipanti seguendo la regola delle “due pizze”. Se due non bastano a sfamare i partecipanti, ci sono troppe persone.
Di contro, il fondatore di Microsoft, Bill Gates utilizzava le riunioni per interrogare i partecipanti, ha affermato Chris Williams, ex vicepresidente delle risorse umane di Microsoft, che ha lavorato a stretto contatto con Gates per otto anni.
Gates "era sempre curioso, voleva sempre capire, cercava sempre maggiori dettagli", ha riferito Williams, per cui era chiaro che il fondatore ci tenesse ad avere i maggiori dettagli possibili anche dei ruoli e delle task più “piccole” e apparentemente insignificanti per il suo ruolo.
Steve Jobs presentava una uguale predisposizione ad essere meticoloso, ma perlopiù nel mantenere le riunioni ristrette. Così afferma Ken Segall, che lavorò a stretto contatto con Jobs come direttore creativo dell'agenzia pubblicitaria di Apple. Pare, infatti, che se un dipendente nuovo si aggiungesse a una riunione senza che Jobs l’avesse mai incontrato, veniva congedato per mantenere la riunione tra i partecipanti più “essenziali” e di sua conoscenza.
Per quanto riguarda l’ex CEO di Google, Eric Schmidt, il suo approccio alle riunioni era orientato alla presa di decisioni e quindi alla loro produttività. Credeva in otto principi specifici che dovevano caratterizzare ogni riunione, alcuni riassumibili con l’importanza di individuare un leader, responsabile decisionale che decretasse l’esito della riunione e i successivi step da compiere. In questo modo, a suo dire, si evitava di dover scendere a compromessi che potessero intaccare la produttività della riunione.
In conclusione, credeva nell’istituzione di una vera e propria gerarchia.
Diversi approcci portano a risultati differenti, ma quale potrebbe essere quello più efficace?