Trend & Interviste

Zootecnia 4.0: ricerca, tecnologia e giovani rinnovano il settore

Secondo i dati Coldiretti di presentati a dicembre 2020, negli ultimi cinque anni il numero di giovani imprenditori agricoli è cresciuto del 14%

8 gen 2021
6 minuti di lettura

Chi ha mai detto che la pastorizia e gli allevamenti sono “cose d’altri tempi”? Oggi sono numerose le opportunità legate alla cosiddetta zootecnia, che abbracciano i più disparati ambiti, dalla ricerca e innovazione, al digitale, ai percorsi formativi, alle occasioni di lavoro. Secondo dati Coldiretti di dicembre 2020, negli ultimi cinque anni, il numero di giovani imprenditori agricoli (legati anche all’allevamento) è cresciuto del 14%, con un balzo significativo registrato proprio nell’ultimo anno: con oltre 55mila under35 alla guida di imprese agricole e allevamenti, l’Italia è leader europeo di settore; insomma una grande occasioneanche per le generazioni future.

In ambito formativo sono sorte negli ultimi anni delle vere e proprie scuole, operative soprattutto nel Sud Italia e in Sardegna; ma il caso cronologicamente più recente è quello di settembre scorso, in Piemonte, dove è stata istituita, nel cuneese, la “Scuola di Pastorizia”, iniziativa promossa dal Comune di Paroldo e Coldiretti regionale, in collaborazione con l'Università di Torino e dell'Istituto Lattiero-Caseario locale. Gli iscritti, che affronteranno 365 ore di attività fra teoria, pratica e stage vengono da diverse regioni italiane: oltre chiaramente al Piemonte, Toscana, Lazio e Valle D’Aosta. Il progetto innovativo è stato sviluppato durante i mesi di emergenza da Coronavirus e intende favorire la nascita di nuovi posti di lavoro, in particolare tra i giovani, strizzando l’occhio anche al green, tramite la riscoperta delle attività di allevamento nelle aree montane e collinari a rischio abbandono, che permette la conservazione della biodiversità e di ecosistemi unici e il presidio di territori impervi che soltanto la presenza di allevatori di bestiame può assicurare.

Numerose le situazioni che uniscono a livello nazionale zootecnia e ambiente. Solo l’estate scorsa, ad esempio, in Sardegna è stato avviato il progetto europeo Sheeptoshiplife che ha come obiettivo la riduzione delle emissioni di gas serra del comparto ovino sardo entro i prossimi dieci anni. Il fatto che l’Unione Europea abbia scelto l’isola italiana per i suoi studi non è casuale, dato che nei fatti è un’area rappresentativa del comparto ovino mediterraneo e da sola contaquasi il 45% del patrimonio ovino italiano.Tornando altresì in Piemonte poi, secondo l’ultima rilevazione disponibile, il 78% degli allevatori che fa capo alla filiera del latte costituita da Cooperativa Com­pral, Inalpi e Ferrero utilizza energie rinnovabili per condurre le proprie attività. Un dato importante, che si concretizza anche grazie all’uso di tecnologie aziendali recenti, dal biogas al fotovoltaico. Questo dato non va trascurato econferma che anche la zootecnia è entrata a pieno titolo nel “giro” dell’economia circolare.

Ricerca e innovazione la fanno da padrone nel settore, sempre più all’attenzione di scienziati e università, come dimostrato anche dal progetto del 2020, Herbal (sostenuto da un team internazionale composto da Libera Università di Bolzano, Università di Innsbruck e Fondazione Edmund March) ove si stanno studiando le erbe alpine per il loro effetto antielmintico e la loro tolleranza per gli animali da allevamento. Da un lato il progetto mira a stabilire una strategia di sverminazione basata sulle erbe che crescono localmente; dall’altro l’intento è quello di fornire una solida base scientifica per nuovi modelli di business legati alla coltivazione di erbe e la produzione di tali farmaci alternativi da parte di agricoltori e startup. Il progetto è finanziato dall’Euregio Science Fund e dovrebbe essere completato entro tre anni.

Altra idea innovativa è quella di Clevermilk, recente progetto dell’Università degli Studi di Milano (finanziato dalla Regione Lombardia), che dovrebbe concludersi nel 2022 e che è incentrato sull’uso intelligente della tecnologia per ottenere un latte a basso impatto ambientale. L’obiettivo è insomma identificare strategie gestionali (dal monitoraggio del livello produttivo, alla salute e capacità riproduttiva degli animali), al fine di migliorare la sostenibilità della produzione di latte alla stalla.

Andando più a Sud è la volta della Toscana, dove l’Università degli Studi di Firenze, con risorse economiche regionali, sta studiando tutt’oggi come monitorare i pascoli e gli spostamenti liberi degli animali sul territorio. Grazie a tecnologie innovative opportunamente applicate si parla così di Virtual Fencing, il cosiddetto pascolo virtuale e più nello specifico del progetto Vistock, che ha permesso lo sviluppo di un sistema di monitoraggio a distanza degli animali al pascolo. Si tratta di “pratiche tech” già abbastanza utilizzate all’estero e in particolare in Australia e Usa, ma è la prima volta che in Europa, grazie a questo progetto viene sperimentato l’uso di radio collari in vacche al pascolo, con il duplice scopo di monitorare gli animali in tempo reale e allo stesso tempoporli all’interno di una sorta di recinto virtuale. La possibilità di una valutazione in tempo reale della qualità del pascolo permette di adeguare il carico animale alle risorse disponibili e tramite la “recinzione virtuale”, di effettuare la rapida turnazione delle superfici con conseguente sfruttamento razionale delle risorse a disposizione. L’obiettivo è quindi quello di aumentare la sostenibilità ambientale del sistema estensivo, attraverso l’uso efficiente delle risorse foraggere e il miglioramento delle performance animali.

In questo contesto non mancano i riconoscimenti anche internazionali per aziende nostrane che tutelano gli allevamenti sostenibili. Ad esempio Mangimi Liverini Spa è stata scelta per la virtual week di novembre scorso dalla Società Italiana di Buriatria, per le sue best practice in materia di ricerca applicata al campo della zootecnia e in particolare nel comparto bufalino. Tecnologie applicate nel concreto, con l’obiettivo di migliorare la produttività, di pari passo con il mantenimento di ottimi standard qualitativi di vita e di salute per gli animali stessi.

Zootecnia quindi molto proattiva nel matrimonio con innovazione e tecnologia, senza dimenticare però le tradizioni e una cultura più sana dell’allevamento, tipiche della transumanza, pratica antichissima che consiste nella migrazione stagionale del bestiame e che è divenuta recentemente Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Questo “modo di allevare” è lo spirito intrinseco dell’innovativa recente “zootecnia digitale” o 4.0 che dir si voglia, che non vuole e non deve morire e che tuttora sopravvive in diverse zone d’Italia (fra cui Abruzzo, Puglia, Lazio, Piemonte, Sardegna, Veneto e Molise). Tal principio è fondamentale, perché non bisogna mai dimenticare che la transumanza è tuttora uno dei metodi di allevamento più sostenibili ed efficienti della storia dell’uomo e quindi da prendere come esempio di mercato per tutti coloro che vogliono avvicinarsi con sostenibilità e rispetto a questo antico e attuale mestiere.

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