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Biologico e lavoro in Italia, le prospettive per il futuro

Un ulteriore passo deciso verso la transizione agroecologica e il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo è stato compiuto nelle scorse settimane…

24 giu 2021
4 minuti di lettura

Un ulteriore passo deciso verso la transizione agroecologica e il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo è stato compiuto nelle scorse settimane nell’aula del Senato italiano, dove all’unanimità è stato approvato il Disegno di legge n. 988 in materia di “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell'acquacoltura con metodo biologico”. Il testo dovrà ora essere sottoposto all’ultimo passaggio definitivo presso la Camera dei Deputati, ma la cosa certa è che a breve l’Italia avrà ufficialmente una propria legge che regolamenti al meglio il settore biologico e che permetterà un allineamento più semplice alle strategie Farm To Fork e Biodiversità 2030, che puntano a triplicare la superficie coltivata a biologico e a ridurre del 50% l’uso di pesticidi e antibiotici e del 20% quello dei fertilizzanti, appunto entro il 2030.

Il testo approvato in definitiva dal Senato, composto da 21 articoli introduce elementi particolarmente significativi a sostegno del biologico, tra cui:

- la possibilità di registrare il marchio biologico “Made in Italy”;

- l’adozione di un piano nazionale per sostenere lo sviluppo del bio italiano come metodo avanzato dell’approccio agroecologico;

- l’istituzione di distretti biologici che consentano di sviluppare l’agricoltura e l’economia dei territori rurali nazionali.

Su quest’ultimo punto è necessario precisare che già nel 2019 venne istituito il primo distretto biologico d’Italia, nel Cilento, ma con l’imminente “formalizzazione giuridica” si potrebbe fare con più efficacia sistema, progettare, catalizzare i finanziamenti nazionali e internazionali disponibili e trovare maggiori risorse da investire, anche nell’ambito del “Piano d’azione europeo per lo sviluppo della produzione biologica”, presentato operativamente dall’UE a marzo scorso.

La definizione che l’Associazione Italiana Agricoltura Biologica assegna ai distretti biologici è “un patto per lo sviluppo sostenibile del territorio, sottoscritto dai produttori biologici, dalle amministrazioni locali e da altri ambiti della società civile”. Qualcosa quindi che parte dal locale, ma che può svilupparsi velocemente, anche in modo inaspettato, come successo per la Sardegna: nato a cavallo fra il 2020 e il 2021, questo distretto bio, composto da oltre cento soci sta crescendo rapidamente e nell’arco di poco tempo punta a diventare il più grande d’Italia. Ancora più ambizioso il progetto regionale delle Marche, che intende realizzare nei prossimi tre anni il distretto biologico più grande d’Europa. Con le firme congiunte fra Regione, Coldiretti, Confagricoltura e altri, avvenute ad aprile scorso, l’obiettivo è connettere fra loro almeno la metà delle piccole e grandi realtà agricole marchigiane, facendo del bio un asset strategico di sviluppo sostenibile ambientale e turistico.

Con una superficie agricola utilizzata di quasi il 16%, contro una media europea inferiore all’8%, il biologico è l’elemento di punta del sistema agroalimentare italiano, che interessa anche numerosi posti di lavoro e professioni non di rado piuttosto innovative per tecniche e strumenti utilizzati. Nel solo ultimo decennio, le superfici cosiddette “bio” in Italia (circa 2 milioni di ettari) sono aumentate del 79%, mentre le aziende biologiche (attualmente più di 80mila) sono cresciute del 69%. Questi dati confermano una trasformazione del modo di produrre e consumare cibo, che la pandemia da Covid-19 ha ulteriormente accentuato, mettendo ancor più in evidenza la stretta connessione tra salute dell’uomo e del pianeta stesso.

Pare quindi chiaro come per la nostra Penisola il biologico rappresenti realmente un’opportunità strategica per valorizzare il territorio rurale e creare posti di lavoro, in particolare per giovani e donne, cittadini sempre più interessati al settore.

Alla transizione agroecologica si affianca anche quella digitale, che accompagna e supporta il cambiamento. Un caso concreto è rappresentato da Xfarm Education, neo progetto lanciato dalla piattaforma digitale Xfarm, specializzata in agricoltura digitale e di precisione. Lo scopo è formare studenti e docenti nel campo dell’Agricoltura 4.0, con particolare attenzione alle nuove tecnologie di settore. Tramite training, comunicazione e strumenti hi-tech vengono svolte lezioni e attività di laboratorio varie, per un esperienza concreta a 360 gradi. La formazione dei futuri professionisti nel campo agricolo è indispensabile per poter creare un’agricoltura più sostenibile e innovativa e iniziative come quella di Xfarm stanno prendendo sempre più piede sul territorio nazionale, a partire da situazioni però particolarmente geolocalizzate.

Digital&tech sono elementi fondamentali per uno sviluppo sano del settore bio e di questo ne hanno piena coscienza gli “addetti ai lavori” e i legislatori; motivo per cui anche il provvedimento recentemente licenziato dal Senato prevede ad esempio l’impiego di piattaforme digitali per garantire una piena informazione circa la provenienza, la qualità e la tracciabilità dei prodotti.
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