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#machelavoroè: il Chief Information Officer

Alla scoperta di una risorsa che punta a organizzare nuove modalità di lavoro, ispirandosi a competenze digitali innovative

11 apr 2022

La dimostrazione di come le professioni, anche le più recenti di nascita, possano attraversare fasi alterne, segnare un processo di decadenza e poi tornare di estrema attualità. È il caso del Chief Information Officer (CIO), una professione emersa nel corso degli anni Ottanta: in origine, questa risorsa dalle competenze altamente tecniche avrebbe dovuto supervisionare le risorse e il personale del dipartimento di tecnologia dell'informazione. In seguito, con l'aumento di importanza della stessa disciplina informatica nelle imprese, gli stessi Cio uscirono da un ruolo dietro le quinte per diventare più visibili, assumendo posizioni di rilievo nella struttura aziendale.

All'inizio degli anni Duemila, invece, questo mestiere sembrava destinato al tramonto: la semplificazione dei processi informatici sembrava aver ridotto i margini per la presenza negli uffici di questo tipo di figura, tanto che negli Stati Uniti si diceva ironicamente che Cio stesse per “Career Is Over”. La rivincita del Chief Information Officer, invece, è cominciata negli ultimi cinque-sei anni, con l'era della rivoluzione digitale. Adesso, infatti, la professione si è ricollocata, o riconvertita, e riguarda una risorsa che punta a organizzare nuove modalità di lavoro, ispirandosi a competenze digitali innovative; rispondere ad aspettative sempre più sfidanti su prodotti e servizi, e garantire modelli di delivery resilienti per le imprese.

In particolare, essere un Cio oggi vuol dire avere attitudini da manager a tutto tondo, meno specifiche e più votate all'armonizzazione dei sistemi tecnologici e informatici: una risorsa capace di gestire gli ecosistemi interni ed esterni, in sinergia con le funzioni di business e da stratega o educatore per diffondere in maniera efficace e diretta all’interno dell’azienda la corretta percezione del ruolo della tecnologia quale fattore chiave per l’innovazione. Di grande importanza, inoltre, è la skill relativa alla complessità, attitudine necessaria per essere capaci di gestire un network sempre più esteso di stakeholder al di là dei confini aziendali, ma soprattutto per comunicare in modo trasparente le opportunità e i rischi della tecnologia.

In questa fase, alcune delle aree di rilievo per le attività dei Chief Information Officer in riferimento alla trasformazione digitale sono in primo piano l’intelligenza artificiale, il cloud ibrido e la sostenibilità. La sfida principale è quella di garantire continuità nell’offrire i servizi IT indispensabili per la gestione delle attività quotidiane, dando contemporaneamente un contributo all’innovazione e alla crescita del business. Si tratta di uno degli aspetti emersi dal recente studio globale annuale realizzato da Ibm Institute for Business Value, una ricerca che evidenzia, tra l'altro, come secondo i Ceo intervistati i prossimi anni saranno competitivi anche per altre figure aziendali legate al comparto tecnologico.

La stessa ricerca, ancora, racconta l’importanza dei dati e dell’automazione per creare nuovi flussi di valore: è infatti più che raddoppiato in due anni il numero dei Cio nel campione che segnalano un’elevata maturità nei flussi di lavoro abilitati all’Intelligenza artificiale, a testimonianza di come si tratti di un flusso in pieno sviluppo. A questo si aggiunge il fatto che il 37% degli intervistati cita l’automazione dei processi quale leva in grado di influire positivamente nelle organizzazioni, con un impatto maggiore nell’IT (40%), nella finanza (35%) e nella produzione (35%). Le organizzazioni del futuro, insomma, non saranno più semplicemente “technology-enabled” ma si trasformeranno in “tech-first company”, in modo tale da indirizzare l’intera value chain in ottica di co-leadership tra IT e business.

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