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Detenuti e lavoro: quando il riscatto passa dai mestieri

Le iniziative e i progetti per formare i detenuti, con l’obiettivo concreto del reintegro sociale e dell’ingresso nel mercato del lavoro

30 mar 2022
3 minuti di lettura

Uno degli obiettivi fondamentali alla base del concetto di reintegro sociale, probabilmente uno dei più delicati, è rappresentato dal recupero di detenuti ed ex detenuti all’interno del mercato del lavoro. La dimensione professionale, infatti, può portare a quel riscatto individuale necessario per il ritorno alla vita collettiva, sublimando così l’intento rieducativo che è il fine essenziale della pena. In questo senso, sono diverse le iniziative e i progetti volti a formare le persone che hanno scontato o stanno scontando una pena detentiva, al fine di sfruttare il tempo a disposizione subito e in seguito le nuove competenze acquisite, con l’obiettivo concreto di trovare un lavoro.

Si tratta di progetti che hanno origine in diverse aree del territorio nazionale, allargandosi a sfere di attività in vari settori. Come nel caso, ad esempio, dell'iniziativa assunta recentemente all'interno del carcere campano di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Qui, infatti, l'istituto di pena ha siglato un protocollo d'intesa con la Fondazione Isasia, noto brand che produce camicie di alta qualità: in particolare, quaranta detenuti del carcere "Francesco Uccella" produrranno camicie per la polizia penitenziaria delle carceri italiane. Il progetto, come ha spiegato la direttrice dell'istituto, prevede una fase di selezione che valuterà le persone da un punto di vista tecnico, soprattutto tra i detenuti che hanno un fine pena almeno di tre anni, in modo tale che dopo la formazione vi possa essere continuità lavorativa. Nel laboratorio che sta per essere attrezzato nell'istituto, saranno prodotte circa 30mila camicie all’anno per agenti maschi e femmine della polizia penitenziaria. La produzione, inoltre, partirà a breve in un altro laboratorio dove verranno prodotte le prime 4mila camicie all’anno. Tra i criteri di selezione dei detenuti, che verranno ovviamente retribuiti per il lavoro svolto, figura la buona condotta.

Restando in Campania, è interessante il ruolo attivo svolto dalla startup Palingen, azienda votata all'inclusione sociale e alla moda etica e sostenibile. Di recente Palingen ha preso in gestione la sartoria del carcere femminile di Pozzuoli, per favorire il reinserimento economico di persone svantaggiate tramite l’implementazione di progetti ecosostenibili. L’avvio del progetto risale a due anni fa: nel 2020, in collaborazione con l’amministrazione del carcere, Maria Luisa Palma, e con lo stilista Alessio Visone (volontario nel progetto) le detenute hanno realizzato delle mascherine che sono state donate alla comunità di Sant’Egidio per le persone senza fissa dimora. Come accennato, questo tipo di iniziative sono estremamente importanti per il recupero dei detenuti all’interno del tessuto della società. Secondo i dati condivisi dalla startup attiva tra l’altro a Pozzuoli e forniti dall’Alleanza Cooperative Sociale, soltanto il 10% dei detenuti che hanno partecipato ad un programma di reinserimento all’interno del carcere, rischia di essere recidivo; viceversa, la soglia sale fino al 90% per i detenuti che non vengono inseriti in alcun progetto di recupero professionale.

Ha invece un carattere ormai decennale il lavoro della cooperativa Il Pungiglione, che da più di vent’anni insegna l’arte del miele a persone appena uscite dal carcere o sottoposte a pene alternative. Un lavoro così prezioso da guadagnarsi il marchio Dop per il miele della Lunigiana, oltre a generare una sorta di micro-economia intorno al prodotto, con la nascita di laboratori per la cera e la falegnameria, strumenti per apicoltori e l'apertura di un punto vendita. Ad oggi sono quasi 400 le persone che hanno preso parte al progetto, rendendo così questa traiettoria una occasione di riscatto e sistemazione professionale. Non mancano, infine, progetti nel campo artistico, e musicale in particolare. Peachead records, in particolare, è il nome della prima etichetta discografica nata in Italia presso un carcere, ovvero quello di Bollate, in provincia di Milano. L'idea del produttore discografico Demetrio Sartorio è quella di strutturare l'etichetta in maniera del tutto professionale, impiegando e mettendo al lavoro le reali competenze presenti nel luogo di detenzione, non solo quelle dei musicisti. Come ha spiegato lo stesso Sartorio, "Ho fatto per anni il volontario al carcere di Bollate: passavo per le sale musica, incrociando chi suona bene uno strumento, chi proponeva canzoni, tante poesie, scritti, appunti di vita: e in quel momento l'intuizione, leggendo una poesia che mi ha colpito da vicino". Perché è proprio attraverso il lavoro, anche artistico, che la missione rieducativa può dirsi veramente assolta.
 

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